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Classificare, separare, escludere: Razzismi e identità by Marco Aime

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reflective fast-paced

1.5

Parole e concetti ripetuti fino allo sfinimento persino di quei lettori che, come me, si trovano ad avere un pensiero tutto sommato in linea con quello dell'autore.

Credo, prima di tutto, che 50 pagine in meno sarebbero bastate per esprimere gli stessi concetti senza l'enorme quantità di inutili reiterazioni presenti. Si sarebbe forse arrivati ad uno snello volumetto di un centinaio di pagine, se si fosse cercato di tirare fuori l'effettivo pensiero dell'autore, perso invece in un mare di centinaia di citazioni.
È vero che queste hanno probabilmente rappresentato la parte più evocativa e brillante del libro, e mi hanno fornito numerosissimi spunti di lettura; tuttavia, per leggere un'opera di questo tipo, avrei acquistato una raccolta di saggi curati. L'autore di questo libro sembra in effetti più un curatore, dato, peraltro, che le citazioni tendono in gran numero a rimandare agli stessi tre o quattro autori, ed il contenuto dell'opera stessa sembra un approfondimento superfluo.

A tratti è poco imparziale, come evidenziato da un linguaggio più scarno e informale; a volte è addirittura nostalgico, o semplicemente fuori argomento per interi paragrafi: sconfina in dibattiti di carattere politico con collegamenti solo marginali all'argomento trattato. A mio parere, scagliarsi contro singoli individui e/o episodi, in un libro del genere, toglie spazio a riflessioni di ampio respiro, che il lettore possa applicare autonomamente.

Sarebbe stata interessante un'analisi più approfondita della strumentalizzazione economica del razzismo, che viene invece qui quasi completamente ignorata.

Ci sono poi diverse contraddizioni interne: viene esaltata l'idea di un mondo dinamico, aperto, libero da regole culturali formali, per poi lamentare la mancanza "di compostezza, di contegno" nella politica e nel rapporto tra essa e il pubblico; prima si critica la memoria in quanto fallace, costruita appositamente in base alle esigenze del presente e alle aspirazioni del futuro, poi la si invoca con nostalgia contro la grande minaccia di Internet, come unica salvezza alla corruzione moderna – tutto ciò nell'arco di appena 30 pagine.

Peccato, perché la prima parte – I. L'invenzione delle razze – sembrava davvero promettente, per la ricchezza di prospettive adottate e la varietà delle fonti.

Ripeto e riassumo: l'autore, cedendo alla grande tentazione che sempre rappresenta l'espressione della propria opinione, in special modo quando si presta a parlare della Storia a lui contemporanea, cade in una serie di palesi contraddizioni e di inutili lungaggini. 
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