Reviews

Economy of the Unlost by Anne Carson

fatikhurram's review against another edition

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challenging emotional informative inspiring reflective

5.0

justanothersamsmith's review

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informative inspiring

4.5

anoresteia's review

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5.0

very interesting!!! i feel as though i may not be as qualified to give my thoughts on this (never read celan, never read simonides, don't have a poetry/classics background, only read this because it was by anne carson) but the connections carson makes between poet and language and money and transaction literally blew my mind when reading.

apollonium's review against another edition

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challenging informative reflective medium-paced

3.0

_cristina's review

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4.0

A poet's despair is not just personal; he despairs of the word and that implicates all our hopes. Every time a poet writes a poem he is asking the question, Do words hold good? And the answer has to be yes: it is the contrafactual condition upon which a poet's life depends.

evastrange's review

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1.0

Where even to begin…

metempsicoso's review against another edition

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2.0

Il mio primo approccio con “Economia dell’imperduto” è stato un fallimento. Finita l’introduzione, con quel suo arzigogolato passare da Simonide e a Celan, per tramite di citazioni e riferimenti dotti e variegati, posai il volumetto di Carson con un certo sconforto. Quella però non volevo fosse la mia sconfitta. Mi sono rimboccato le maniche e ho cominciato a leggere altro e ad informarmi, diciamo pure a studiacchiare. Ho cercato di individuare chi fosse Simonide di Ceo, riconoscendo presto che il poeta greco andava un po’ troppo al di là dei miei interessi e del mio retroterra da non classicista, ho letto il più possibile di e su Paul Celan, passando dalle liriche alle missive senza tralasciare la saggistica e almeno una biografia sulla sua persona, e ho approcciato Carson a partire da un’altra opera per acclimatarmi con il suo stile. L’opera scelta è stata l’unica al momento in commercio nel mercato editoriale italiano, “L’autobiografia del rosso”.
Anche a causa dell’entusiasmo provato per questo componimento, mi sono finalmente deciso a ritornare a “Economia dell’imperduto”, pronto a dar battaglia.
Beh, è stata un po’ una delusione.
Il saggio parte da una premessa: confrontare Simonide e Celan per indagare il senso (e il valore) della poesia. O meglio, questo è quello con cui vorrebbe essere etichettata, quando invece la trattazione si apre ad una serie di parentesi sui due autori, slegate tra di loro o, peggio, accorpate solo per opportunismo, con una netta sproporzione a favore del lirico greco che è di certo più familiare a Carson.
Per quel che mi riguarda, il paragone non funziona. A partire proprio dalle fondamenta: da un lato vi è una persona di cui non possediamo testi autobiografici, raccontato da altri autori spesso molto più tardi, inscatolato in una macchietta e in un prototipo; dall’altro, un grafomane del Novecento, dedito alla propria arte fino ad esserne completamente assorbito, avido conservatore delle missive ricevute, ritratto da contemporanei notissimi e altrettanto generosi con le parole.
In “Economia dell’imperduto” si spinge sul loro essere uomini simili, quasi specchiabili, separati da una distanza secolare che rende ancora più mirabile la loro condizione di identica “estraneità”. Mi si conceda, intanto, che estraneo, in questo millennio, si sente chiunque abbia accesso ad un social network. La condizione dei due autori, poi, è quanto di più dissimile si possa immaginare: da un lato, quello di Simonide, un uomo a cavallo di due diversi sistemi economici, da lui padroneggiati in modo ammirevole; dall’altro un uomo strappato dalle proprie radici familiari, dalla propria terra e dalla maternità della sua lingua. Simonide spadroneggiò la sua epoca – o almeno così ci raccontano – dettando mode destinate a durare per secoli; Celan fu spesso sbeffeggiato da autori suoi contemporanei più anziani e distrutto, come è noto, dalle accuse di plagio della vedova di Yvan Goll.
Insomma, un saggio pretestuoso. Sì, ci sono pagine molto interessanti, con approfondimenti intriganti (per me, tutti i paragrafi sulle epigrafi di cui Simonide fu “maestro” sono stati strabilianti), ma il saggio non funziona per come è stato strutturato. Se Carson ne avesse tratto due approfondimenti divisi sui singoli autori ritengo che il risultato sarebbe stato migliore: un’ottima ricostruzione dell’ambiente in cui visse Simonide di Ceo e un’interpretazione forzata e sommaria su alcune liriche di Paul Celan perfettamente evitabile. Unire questi due personaggi, con quest’argomentazione debole, è stata una decisione infelice.
Mi è parso uno di quei saggi superflui che i professori universitari compongono e poi obbligano i propri studenti a comprare e studiare per sostenere il loro esame. Un caso di “sovra-interpretazione” non necessaria, con un filo di pensiero spesso totalmente illogico. I collegamenti tra le porzioni sui due autori sono volubili, approssimative e umorali.
E a gravare su tutto ciò, un crimine – e non uso questa parola con leggerezza – che negli ultimi tempi mi è diventato intollerabile: l’inutile complicazione stilistica. C’è una differenza, tutt’altro che sottile ma spesso invisibile agli accademici, tra lo scrivere in modo ricercato e lo scrivere in modo chiaro. Ci sono autori capaci di fare le due cose contemporaneamente e altri a cui questa capacità sfugge. La saggistica non dovrebbe essere la patria degli abbellimenti superflui, ma anche nel caso in cui questo avvenisse, ciò non dovrebbe mai – MAI – compromettere la comprensibilità del testo.
Ci sono tanti altri settori in cui è possibile spingere sul proprio estro e comporre proposizioni complesse che si aprono a mille interpretazioni. Ma dire “quella creatura quadrupede, che gli islandesi chiamano hundur, latrava svociandosi sul farsi della notte plumbea che prometteva all’uomo un avvenire nefasto”, per esprimere il concetto “il cane abbaia la sera” è un crimine. E credo che spesso Carson ricada in questo problema. Che sì, è classismo. È vanteria superflua, è bisogno di affermare il proprio status. E quindi anche vaffanculo.
Questo saggio finge d’essere migliore di quello che è, e lo fa nascondendosi sotto un manto di spocchia. Tutti, giunti alla fine, si dicono una frase del tipo “non ho capito tutto, ma è scritto così bene che evidentemente il problema è mio che non ne so abbastanza”. Quello che chiedo io, invece, è: perché, qui, nessuno ha capito questo saggio fino in fondo? Sarà mai che ci è stata venduta un po’ di fuffa ben truccata?

A margine, grazie Carson. Perché nel mio sentirmi inadeguato nei tuoi riguardi, ho scoperto Paul Celan. E quella sì, è stata una bella esperienza.
Continuerò comunque ad indagarti, ma senza altri patimenti d'animo.

catecstasy's review against another edition

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informative inspiring medium-paced

4.5

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