A review by nefreth
Shah-in-Shah by Ryszard Kapuściński

4.0

"Iran, Iran, Iran
Chun-o-marg-o-osjan"
(Iran, Iran, Iran, sei sangue, morte e rivolta)

Questo è il canto dei rivoltosi raccontato da Kapuscinski, in Iran durante le rivolte che portarono alla Rivoluzione e alla cacciata dello Shah. Una serie di riflessioni, spunti e racconti raccolti dal giornalista in un periodo terribile nella storia del Paese.
Se non si sapesse l'anno e si modificassero i nomi, potrebbe essere il racconto di quello che sta accadendo in questi mesi nel Paese, dopo la morte di Masha Amini.
Quelli che ora torturano, sono i figli o i nipoti di coloro che erano stati torturati dalla terribile polizia dello Shah, uno stesso tragico punto in comune di due regime speculari: se lo Shah approfittava delle risorse del suo popolo per presentarsi come paese moderno e al pari dell'"Occidente", uccidendo, affamando, torturando e distruggendo vite intere per la sola possibilità che potessero interferire con i suoi piani; l'Iran odierno è completamente ripiegato su sé stesso, perso nell'idea di poter perdere anche solo un'oncia del potere guadagnato.E pronto ad uccidere, affamare, torturare e distruggere le vite di coloro che osano cercare di reclamare diritti, gli stessi diritti per cui i loro padri e nonni hanno lottato.
Durante la lettura ci si chiede se l'Iran potrà mai trovare pace, troppo ricco in risorse naturali, troppo strategico, troppo tentato da alleanze strategiche, paese sciita circondato dai Sunniti, nemico giurato di Israele, vezzeggiato dagli Stati Uniti fino alla Rivoluzione e poi dall' Urss e dalla Russia dopo.
C'è un punto del libro che mi ha fatto riflettere più degli altri, proprio per l'estrema attualità con i fatti di questi ultimi mesi ( vedi ad esempio l'incarcerazione di registi, scrittori, attori, musicisti, creator)
" Un iraniano in patria non poteva leggere i libri dei suoi ottimi scrittori, non poteva ascoltare la voce dei suoi intellettuali. Per volontà dello Scià , la gente era libere di scegliere tra la Savak e i mullaj, e la gente, ovviamente scelse i Mullah. Quando si parla della caduta di una dittatura (...) non ci si può illudire che svanisca di colpo, come un brutto sogno, anche l'intero sistema. Finisce di esistere fisicamente, ma le sue conseguenze psicologiche e sociali permangono per anni. Una dittatura che anniente l'intelligenzia e la cultura si lascia dietro terre deserte e sterili, dove l'albero del pensiero faticherà molto a rinascere".
Ma, forse, in questi tempi buii e pieni di sangue, dove troppi stanno perdendo la vita per difendere il diritto degli esseri umani ad esistere ed essere ricosciuti nella loro pienezza, nuovi alberi più forti stanno nascendo.
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