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A review by chiarachefacose
Gerusalemme liberata by Franco Tomasi, Torquato Tasso
5.0
Altro capolavoro che ho letto esclusivamente perché era parte del programma di un esame.
Superando lo scoglio iniziale della scrittura in ottave - alla quale non è facile abituarsi, a meno che boh non siate tipo nati nel '500 e quindi la vostra idea di narrativa sia fatta di cose scritte in ottave - non è affatto difficile entrare nella trama e trovarcisi proprio avvinti.
Al di là del piacere puro che dà per un letterato (o aspirante tale, come me) il ritrovare tutti i riferimenti celati alla letteratura precedente (orgasmico, per il letterato, appunto, che studia quel che studia solo per queste circostanze), c'è un'elaborazione psicologica dei personaggi che si pone esattamente a metà tra i due generi di letteratura che più hanno lavorato in tal senso, si pone quindi a metà tra la tragedia (greca, che discorsi) e il romanzo del secondo ottocento.
Non c'è un personaggio che non abbia le sue ragioni, non ce n'è uno che non sia in qualche maniera comprensibile per il lettore: ed è una sfida, una sfida che risuona anche a tutti questi secoli di distanza - vogliamo prendere razionalmente le parti di Goffredo e dei suoi crociati oppure lasciarci trascinare a fondo dalla mente conturbante e labirintica degli avversari? Non solo Armida, ma Solimano - il più crudele dei nemici ma anche il più umano - Aladino, i maghi.
E gli amori, gli amori! Le lacrime versate sulle vicende disperate del giovanissimo Tancredi che si vede protagonista del più orribile degli scenari, la vergogna di Rinaldo, che si sente sulla propria pelle.
Non per essere terribilmente banale, ma poi alla fine lo sono un po' sempre: non c'è altro da dire su questo poema se non che la sua grandezza si regge soltanto su quanto si è disposti a farselo scorrere davanti agli occhi come se stessimo guardando un film (perché nel '500 parlavano di vederle a teatro le cose, ma noi abbiamo avuto un aggiornamento al proposito).
Grandioso.
Superando lo scoglio iniziale della scrittura in ottave - alla quale non è facile abituarsi, a meno che boh non siate tipo nati nel '500 e quindi la vostra idea di narrativa sia fatta di cose scritte in ottave - non è affatto difficile entrare nella trama e trovarcisi proprio avvinti.
Al di là del piacere puro che dà per un letterato (o aspirante tale, come me) il ritrovare tutti i riferimenti celati alla letteratura precedente (orgasmico, per il letterato, appunto, che studia quel che studia solo per queste circostanze), c'è un'elaborazione psicologica dei personaggi che si pone esattamente a metà tra i due generi di letteratura che più hanno lavorato in tal senso, si pone quindi a metà tra la tragedia (greca, che discorsi) e il romanzo del secondo ottocento.
Non c'è un personaggio che non abbia le sue ragioni, non ce n'è uno che non sia in qualche maniera comprensibile per il lettore: ed è una sfida, una sfida che risuona anche a tutti questi secoli di distanza - vogliamo prendere razionalmente le parti di Goffredo e dei suoi crociati oppure lasciarci trascinare a fondo dalla mente conturbante e labirintica degli avversari? Non solo Armida, ma Solimano - il più crudele dei nemici ma anche il più umano - Aladino, i maghi.
E gli amori, gli amori! Le lacrime versate sulle vicende disperate del giovanissimo Tancredi che si vede protagonista del più orribile degli scenari, la vergogna di Rinaldo, che si sente sulla propria pelle.
Non per essere terribilmente banale, ma poi alla fine lo sono un po' sempre: non c'è altro da dire su questo poema se non che la sua grandezza si regge soltanto su quanto si è disposti a farselo scorrere davanti agli occhi come se stessimo guardando un film (perché nel '500 parlavano di vederle a teatro le cose, ma noi abbiamo avuto un aggiornamento al proposito).
Grandioso.