A review by matibingereading
Servo e serva by Ivy Compton-Burnett

3.0

“Servo e serva” di Ivy Compton Burnett è un libro difficile di cui fare una recensione. Perché ci sono quei libri a cui oggettivamente si possono fare poche critiche, ma che capita che non prendono il singolo lettore. Quindi tenterò di esporvi il più possibile le cose in maniera pulita, e distaccando per un secondo il mio gusto personale.
Ivy Compton Burnett è una scrittrice del Novecento, che conta nella sua bibliografia 20 romanzi. La Fazi Editore già da un paio di anni li sta ritraducendo e ripubblicando. Prima di questo, infatti, sono stati editi da Fazi “Il capofamiglia” e “Più donne che uomini”.
Di cosa parla questo romanzo? Parla di una famiglia, la famiglia Lamb, costantemente vessata dal capofamiglia Horace, che esercita la sua tirannia sui figli, sul cugino e sulla servitù, dando pieno sfogo alla sua tirchieria. Infatti, Horace è talmente avaro (con i soldi di famiglia della moglie, tra l’altro), da non rendersi nemmeno conto dei bisogni dei figli, della casa e soprattutto di sua moglie, che ha una relazione con Mortimer, il cugino di Horace.
“Provava un attaccamento forte e manifesto per suo cugino, e uno ancora più forte ma necessariamente meno manifesto per la di lui moglie”

La scrittura della Burnett è stata una piacevole scoperta. È ironica, pungente, fresca. Ma è quasi del tutto composta da dialoghi. Il che è sicuramente fondamentale per comprendere le relazioni tra i vari personaggi, ma che mette a questo punto in secondo piano l’ambientazione, il contesto storico, le descrizioni. Ci troviamo in Inghilterra (presumo) e siamo verso la fine dell’800, ma più di questo non si sa molto. Perché il romanzo gira quasi e totalmente intorno alla casa e alla famiglia. Da quello che ho capito, è un must dei libri della Burnett, che si concentra quasi totalmente su dinamiche dinastiche e famigliari. È un romanzo serrato, spietato, divertente, molto ironico. Ma le descrizioni sono ridotte all’osso, non vi è uno scavo nell’introspezione dei personaggi, e la loro caratterizzazione è data da ciò che dicono.
Mi ha dato l’impressione di trovarmi a teatro, più precisamente nella commedia greca o latina. L’ho visto, in altre recensioni, paragonato alla tragedia ma penso proprio non sia così. Ho sentito proprio il richiamo delle dinamiche del servo all’interno della commedia, la sua centralità, il modo in cui alla fine dei conti gioca sulla trama. E la visione che ci da la Burnett è cinica nel suo sarcasmo. Non se ne salva nessuno, nemmeno il personaggio che tenta il più possibile di spacciarsi per moralmente corretto.

Vi cito una frase:

“Sono servi e da servi cantano, e servi rimangono, anche se si dichiarano felici e soddisfatti”.
E, alla fine dei conti, arriva l’agghiacciante rivelazione: siamo e sempre restiamo servi di qualcuno. Anche se non ce ne accorgiamo.

Questo libro, nonostante gli aspetti positivi che non ho potuto far altro che elencare, mi è sembrato a tratti parecchio lento. Nonostante l’abbondanza di dialoghi, e la povertà di descrizioni, non è stato incalzante come mi aspettavo. La relazione annunciata nella trama tra il cugino Mortimer e la moglie di Horace, Charlotte, sembra sempre passare in secondo piano. Tutti ne sanno, tranne Horace, ma il confronto tra le due parti interessate non è mai presente.
Aggiungo, che ai bambini (i cinque figli tra i 7 e 11 anni) vengono ogni tanto messe in bocca frasi o parole che non si addicono per niente alla loro età fanciullesca.

Concludo dicendo che a questo romanzo metto tre stelle perché, nonostante le 300 pagine scarse, non è riuscito a tenermi incollato alle pagine, cosa che è fondamentale per me. Ma le stelle sono comunque alte, perché ho apprezzato molto il messaggio, il tono e l’attitudine dell’autrice. Sicuramente fin troppo sottovalutata nel panorama italiano.