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A review by elyxyz
La croce e il lupo by Harper Fox
5.0
4.5
È difficile trovare le parole migliori per rendere giustizia a una storia così particolare, imprevedibile, complessa e sfaccettata.
Se dovessi essere sintetica, vi direi che è bellissima e che ve la consiglio caldamente, ma sarebbe una misera recensione e allora cercherò di spiegarvi quale sia il mio parere.
Anzitutto la trama è ambientata nel lontano 600 dopo Cristo, nell’alta Britannia, oltre il Vallo Adriano, fra terre di confine – ai confini del mondo – e povertà.
Caius è un giovane uomo, primogenito di un capoclan della zona, che ha scelto la via della religione anziché quella della spada, come vorrebbe suo padre; ma in lui scorrono comunque l’antico sangue dei suoi avi, coraggiosi combattenti romani, il loro ardore e l’intraprendenza.
Nel piccolo e sperduto convento di Fara, l’ultimo avamposto di quella civiltà, un gruppo di frati sono guidati da un saggio abate esiliato lassù in odor di eresia, che mescola messaggi cristiani a lezioni di astronomia, insegnamenti di scienza e preghiere. Caius ama quella conoscenza, quel miscuglio fra sacro e profano, fra gli dèi dei suoi antenati, la mescolanza druida delle tradizioni e gli insegnamenti cristiani.
L’arrivo inatteso e terribile dei vichinghi, che razziano e incendiano tutto, trasforma ogni cosa e innesca una serie di cambiamenti in Caius e in tutto il monastero.
Una di quelle scorribande incivili lascia dietro di sé un uomo ferito quasi a morte, un vichingo pericoloso e affascinante che Caius salva contro ogni prudenza.
Fenrir, il Lupo, è letale e imprevedibile come l’animale che lo rappresenta, ma col tempo si fa addomesticare dal monaco e impara a integrarsi nella comunità, anche se non è semplice né indolore per nessuno.
Quando l’amore fra Caius e Fenrir sboccia, a sfavore del buonsenso, l’onore e le rispettive convinzioni, non siamo al lieto fine, ma all’inizio di un viaggio ben più lungo e complesso.
Ci sono diverse parti intime e sensuali, ma non particolarmente descrittive e troppo esplicite.
La storia è la narrazione della crescita di Caius, da giovane di belle speranze e ingenuità, che deve maturare in rapporto a se stesso e con gli altri, deve soffrire e scoprire molte cose, belle e brutte, dolci e amare. Ho adorato lo sviluppo di questo personaggio che non si può non amare. Ha una caratterizzazione incredibile che merita di essere apprezzata.
Anche Fenrir rimette tutto in gioco, pur conservando il proprio retaggio e la tradizione che lo accompagna. Leggere della sua evoluzione è stato altrettanto appagante.
Ma insieme ai protagonisti ci sono molti altri personaggi, dai monaci ai poveri bifolchi abitanti dei villaggi, passando per figure più o meno misteriose, forse magiche, forse divine, forse ciarlatane, che però arricchiscono la storia dando quel tocco in più di mistero e magia, com’è giusto che sia in una terra in cui varie credenze e fedi si sono mescolate e intrecciate.
Fino alla fine la conclusione non è scontata, perciò – anche se il libro è bello lungo – non c’è tempo di annoiarsi, merito di una trama ben architettata e di un’ottima traduzione.
È difficile trovare le parole migliori per rendere giustizia a una storia così particolare, imprevedibile, complessa e sfaccettata.
Se dovessi essere sintetica, vi direi che è bellissima e che ve la consiglio caldamente, ma sarebbe una misera recensione e allora cercherò di spiegarvi quale sia il mio parere.
Anzitutto la trama è ambientata nel lontano 600 dopo Cristo, nell’alta Britannia, oltre il Vallo Adriano, fra terre di confine – ai confini del mondo – e povertà.
Caius è un giovane uomo, primogenito di un capoclan della zona, che ha scelto la via della religione anziché quella della spada, come vorrebbe suo padre; ma in lui scorrono comunque l’antico sangue dei suoi avi, coraggiosi combattenti romani, il loro ardore e l’intraprendenza.
Nel piccolo e sperduto convento di Fara, l’ultimo avamposto di quella civiltà, un gruppo di frati sono guidati da un saggio abate esiliato lassù in odor di eresia, che mescola messaggi cristiani a lezioni di astronomia, insegnamenti di scienza e preghiere. Caius ama quella conoscenza, quel miscuglio fra sacro e profano, fra gli dèi dei suoi antenati, la mescolanza druida delle tradizioni e gli insegnamenti cristiani.
L’arrivo inatteso e terribile dei vichinghi, che razziano e incendiano tutto, trasforma ogni cosa e innesca una serie di cambiamenti in Caius e in tutto il monastero.
Una di quelle scorribande incivili lascia dietro di sé un uomo ferito quasi a morte, un vichingo pericoloso e affascinante che Caius salva contro ogni prudenza.
Fenrir, il Lupo, è letale e imprevedibile come l’animale che lo rappresenta, ma col tempo si fa addomesticare dal monaco e impara a integrarsi nella comunità, anche se non è semplice né indolore per nessuno.
Quando l’amore fra Caius e Fenrir sboccia, a sfavore del buonsenso, l’onore e le rispettive convinzioni, non siamo al lieto fine, ma all’inizio di un viaggio ben più lungo e complesso.
Ci sono diverse parti intime e sensuali, ma non particolarmente descrittive e troppo esplicite.
La storia è la narrazione della crescita di Caius, da giovane di belle speranze e ingenuità, che deve maturare in rapporto a se stesso e con gli altri, deve soffrire e scoprire molte cose, belle e brutte, dolci e amare. Ho adorato lo sviluppo di questo personaggio che non si può non amare. Ha una caratterizzazione incredibile che merita di essere apprezzata.
Anche Fenrir rimette tutto in gioco, pur conservando il proprio retaggio e la tradizione che lo accompagna. Leggere della sua evoluzione è stato altrettanto appagante.
Ma insieme ai protagonisti ci sono molti altri personaggi, dai monaci ai poveri bifolchi abitanti dei villaggi, passando per figure più o meno misteriose, forse magiche, forse divine, forse ciarlatane, che però arricchiscono la storia dando quel tocco in più di mistero e magia, com’è giusto che sia in una terra in cui varie credenze e fedi si sono mescolate e intrecciate.
Fino alla fine la conclusione non è scontata, perciò – anche se il libro è bello lungo – non c’è tempo di annoiarsi, merito di una trama ben architettata e di un’ottima traduzione.